Il Gay Pride di Budapest ha visto la partecipazione anche della segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, che in una conferenza stampa con la presidente del gruppo S&D al Parlamento europeo, Iratxe García Pérez, ha lanciato un duro attacco contro le istituzioni ungheresi, accusandole di violare i “diritti costituzionali europei” per la loro opposizione al Pride. Ma davvero opporsi alla spettacolarizzazione dell’ideologia gender significa ledere i diritti fondamentali della persona?

La libertà non è un dogma ideologico

Schlein afferma: “Non puoi vietare l’amore per legge. Non puoi cancellare l’identità delle persone”. Ma nessuna legge ungherese vieta “l’amore” — espressione volutamente vaga e retorica — né cancella l’identità delle persone. Quello che il governo ungherese, con coraggio e coerenza, contesta è l’imposizione ideologica che si cela dietro manifestazioni come il Pride, trasformate ormai in palcoscenici di provocazione culturale e propaganda di un’antropologia alternativa che mina i fondamenti della società naturale.

Difendere la famiglia fondata sull’unione tra uomo e donna, promuovere un’educazione rispettosa dell’età evolutiva dei bambini, proteggere l’ordine morale e culturale di un popolo: queste non sono violazioni, ma espressioni legittime della sovranità di uno Stato e della sua libertà democratica. E chi grida alla “violazione dei diritti europei” sembra ignorare che anche il dissenso rispetto alle mode ideologiche dominanti è un diritto.

Il Pride come strumento di colonizzazione culturale

Il cosiddetto “orgoglio” LGBTQIA+ non è più, da tempo, un semplice richiamo alla tolleranza o al rispetto della dignità della persona. È diventato, invece, il simbolo visibile di una rivoluzione antropologica che chiede non solo accettazione, ma celebrazione obbligatoria. Chi dissente viene immediatamente etichettato come omofobo, retrogrado o nemico dei diritti. Ma chi tutela la libertà di espressione di chi non si piega a questa omologazione culturale?

Dietro le colorate parate del Pride si cela spesso un messaggio ben più radicale: la decostruzione dei ruoli sessuali, l’attacco al concetto naturale di famiglia, la promozione della fluidità di genere come nuovo dogma educativo. È legittimo che uno Stato, come l’Ungheria, desideri difendere i propri figli da un’educazione sessuale scollegata dalla realtà biologica e fondata solo sull’autopercezione? È legittimo che una nazione voglia preservare il suo tessuto sociale tradizionale?

I diritti non sono desideri

Il punto fondamentale è che non ogni desiderio può diventare un diritto. E non ogni diritto autoproclamato ha dignità costituzionale. La pretesa di includere nella sfera dei “diritti fondamentali” la procreazione artificiale per coppie dello stesso sesso, l’identità di genere autodeterminata, l’adozione omogenitoriale e l’utero in affitto, rappresenta un grave stravolgimento del concetto stesso di diritto.

In questa cornice, le parole di Elly Schlein non appaiono come una difesa della libertà, ma come una rivendicazione ideologica che ignora ogni possibilità di pluralismo culturale e morale. L’Unione Europea non è – e non dovrebbe mai diventare – uno strumento di omologazione dei popoli e delle culture. E la libertà non è libertà se non comprende anche quella di dissentire.

Conclusione

È doveroso ribadire che ogni persona va rispettata nella sua dignità, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Ma ciò non comporta l’accettazione acritica di ogni espressione pubblica di tale orientamento, soprattutto quando essa si trasforma in veicolo di ideologie che minano le basi antropologiche e giuridiche della nostra civiltà. In questo, l’Ungheria di Viktor Orbán difende un modello alternativo al pensiero unico, ed è paradossale che chi si dice paladino della democrazia non accetti che essa possa esprimersi anche in forme diverse dal proprio schema ideologico.

23520cookie-checkIl paradosso della libertà: la narrazione ideologica del Pride e il diritto a dissentire

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