Dopo aver commentato in modo critico la decisione del TAR Piemonte sulla cosiddetta “stanza dell’ascolto” presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, è doveroso – alla luce della lettura integrale della sentenza n. 1117/2025 – fare alcune precisazioni e chiarimenti.

Contrariamente a quanto alcuni hanno affermato, il TAR non ha ritenuto inammissibile in sé la presenza delle associazioni pro-vita all’interno delle strutture sanitarie pubbliche, né ha dichiarato che tale collaborazione sia di per sé contraria alla legge 194/1978. Al contrario, la sentenza riconosce espressamente che anche le strutture ospedaliere, come i consultori, possono avvalersi del supporto di associazioni di volontariato, purché ciò avvenga nel rispetto dei requisiti normativi e con adeguata verifica dell’idoneità delle stesse.

Il vero nodo, che ha portato all’annullamento della convenzione stipulata tra l’AOU e l’associazione pro-vita di Rivoli, risiede nella mancata verifica dei requisiti di professionalità, preparazione e formazione dei volontari coinvolti, come richiesto dall’art. 56 del Codice del Terzo Settore e dall’art. 2 della legge 194/1978. La sentenza, infatti, sottolinea che l’amministrazione ospedaliera non ha fornito elementi sufficienti per dimostrare la concreta capacità operativa e formativa dei volontari, né ha predisposto controlli sull’effettiva competenza degli stessi.

Non solo: il TAR ha anche rilevato l’irregolarità nella partecipazione sostanziale di FederviP.A. alla convenzione, non essendo iscritta al Registro Unico del Terzo Settore, come invece richiesto per legge. Anche questa anomalia ha contribuito all’annullamento.

Dunque, non una condanna dell’ascolto o della solidarietà alla maternità fragile, ma una richiesta di rigore amministrativo e trasparenza nella selezione dei soggetti coinvolti. Non viene messa in discussione la possibilità per enti pro-vita di collaborare con il pubblico, ma viene ribadita la necessità che ciò avvenga secondo criteri verificabili di idoneità e professionalità.

La sentenza, se letta nella sua interezza, mostra una posizione più tecnica che ideologica. In questo senso, essa può costituire un’occasione per migliorare il sistema di collaborazione tra pubblico e privato sociale, nel rispetto sia della normativa vigente sia della dignità delle donne, che meritano percorsi di ascolto reali, competenti e pluralistici.

Resta il dato politico e culturale: ogni volta che si tenta di proporre un supporto alternativo all’aborto, le resistenze si moltiplicano. Tuttavia, questa vicenda dimostra che la partita non è chiusa, ma anzi potrà riaprirsi su basi più solide, trasparenti e – si spera – finalmente non osteggiate da pregiudizi ideologici.

23750cookie-checkNon era l’ascolto il problema: il TAR boccia l’improvvisazione, non i pro vita

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