Nel tempo presente, segnato da un relativismo etico e giuridico che confonde il bene con il desiderio individuale, il discorso pronunciato da Papa Leone XIV in occasione del Giubileo dei Governanti del 21 giugno 2025 risuona come una bussola orientatrice, tanto per i legislatori quanto per ogni uomo di buona volontà. Al centro dell’intervento, rivolto ai parlamentari di sessantotto Paesi, vi è stato un richiamo netto, colto e coraggioso alla legge naturale, intesa come criterio universale e immutabile di giustizia, fondamento del diritto autentico e baluardo contro l’arbitrio del potere.

Il Pontefice ha citato Cicerone, ricordando che «la legge naturale è la diritta ragione, conforme a natura, universale, costante ed eterna», e che essa non può essere abrogata né modificata, in quanto superiore alle leggi degli uomini e anteriore a ogni costituzione positiva. Si tratta di un’affermazione che, se da una parte riprende il grande patrimonio della filosofia classica e della tradizione giusnaturalistica cristiana, dall’altra costituisce oggi una vera provocazione culturale, in un contesto in cui si tende a confondere il diritto con ciò che è legalmente consentito, prescindendo dalla sua intrinseca giustizia.

Il diritto, prima ancora di essere un prodotto della volontà legislativa, rappresenta innanzitutto il riconoscimento di un ordine oggettivo delle cose, radicato nella natura umana e nelle relazioni sociali. L’oblio della legge naturale ha portato progressivamente a un diritto frammentato, fluido e soggettivo, sempre più orientato a soddisfare pulsioni immediate e sempre meno al bene comune. È il paradosso di un diritto che, nato per proteggere l’uomo, finisce per destabilizzarlo quando smette di riconoscere la sua vera natura.

Il Papa ha evidenziato, con lucidità profetica, come il riferimento alla legge naturale sia oggi particolarmente urgente nelle “delicate questioni etiche che toccano la sfera dell’intimità personale”. Pensiamo all’aborto, all’eutanasia, al tentativo di ridefinire la famiglia, alla manipolazione della vita nascente, alla denatalità programmata: tutti ambiti in cui la legge positiva, quando non ancorata alla legge naturale, diventa strumento di ingiustizia travestita da progresso.

La grande intuizione cristiana, ribadita dal Magistero, è che il diritto giusto non nasce dal consenso democratico, ma dalla verità sull’uomo. È questa verità, oggettiva e conoscibile dalla ragione, che fa sì che alcune norme siano giuste non perché votate, ma perché conformi al bene dell’uomo in quanto tale, di ogni uomo, in ogni tempo. Solo in questa prospettiva la legge può essere davvero “uguale per tutti”, perché radicata nella comune natura umana e non nei capricci delle maggioranze o delle lobbies ideologiche.

La politica, ha detto il Pontefice riprendendo Pio XI, è «la forma più alta di carità» proprio perché, quando è fedele al vero bene dell’uomo, diventa servizio alla giustizia e alla pace. Ma per essere tale, essa deve essere nutrita da un’antropologia vera, non riduzionista, che sappia cogliere nell’uomo un essere dotato di dignità perché fatto a immagine di Dio. Per questo, ha affermato Leone XIV, l’azione politica non deve espellere il trascendente, ma cercare in esso ciò che unisce, a cominciare dalla legge naturale come riferimento condiviso.

In un’epoca in cui si vorrebbe riscrivere l’umano secondo i codici dell’ingegneria biotecnologica, il Papa ci ricorda che la legge naturale è ancora lì, silenziosa ma viva, come criterio di discernimento, come misura della giustizia, come fondamento della convivenza civile. Essa non è il residuo di un passato superato, ma il baluardo di un futuro possibile, giusto e umano.

Accogliere questo richiamo significa per i governanti riscoprire che il loro mandato non è quello di assecondare le mode, ma di custodire il bene comune; significa riscoprire che fare leggi non è esercizio di potere, ma atto di responsabilità morale. In questo senso, il riferimento del Papa a San Tommaso Moro come modello di politico esemplare acquista oggi un significato potente: servitore della verità, anche a costo della vita.

Il giubileo dei governanti ha avuto così un tono alto, anzi altissimo: non un momento rituale, ma un vero appello a ritrovare la dignità della politica come arte della giustizia, fondata su un diritto che riconosce nella natura dell’uomo, e non nel suo arbitrio, il suo fondamento ultimo. Di fronte alle derive del giuspositivismo e del tecnocratismo, la voce della Chiesa torna a indicare l’unica via che conduce alla vera libertà e alla pace sociale: il diritto naturale, iscritto da Dio nel cuore di ogni uomo.

23350cookie-checkLa legge naturale come fondamento del diritto e della politica: un richiamo provvidenziale di Papa Leone XIV

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