di Giancarlo Cerrelli


L’articolo di Michela Marzano, su la Repubblica del 23 maggio 2025, nel tentativo di legittimare la decisione della Corte costituzionale (sent. n. 68/2025), si fonda su una narrazione fortemente ideologica che piega l’interesse del minore a un paradigma soggettivista, emotivo e antigiuridico.

L’autrice celebra come progresso storico il fatto che non sarà più necessario «spiegare ai figli perché l’altra mamma non è la vera madre», ma in realtà non spiega affatto chi sia il padre. L’interesse del bambino, invocato come parola magica, non è più ancorato a criteri oggettivi (come la necessità di una relazione educativa e affettiva con padre e madre), bensì viene fuso con il desiderio dell’adulto, ridotto a specchio del suo bisogno.

Marzano omette del tutto la dimensione asimmetrica e strutturale della filiazione, che nasce da un atto generativo tra un uomo e una donna e che nessuna sentenza può cancellare. Parlare dell’accesso alla PMA da parte di coppie di donne come espressione di uguaglianza, senza considerare il ruolo del padre biologico (e la sua cancellazione giuridica), è un modo per neutralizzare la realtà concreta dell’essere umano come essere generato.

L’articolo assume così i toni di una teologia laica dell’autodeterminazione, in cui ogni limite (biologico, simbolico, relazionale) è percepito come ingiustizia da abbattere. Ma un diritto che non conosce limiti non è più diritto: è arbitrio travestito da emancipazione.

Infine, la pretesa che l’interesse del minore consista nell’avere «genitori stabili, amorevoli e affidabili» prescinde totalmente dal dato strutturale della differenza sessuale, riducendo la genitorialità a una funzione astratta, disincarnata. Ma il corpo, il sesso, la generazione, non sono costruzioni culturali: sono radici antropologiche del diritto e della società.

22910cookie-checkUna retorica che cancella la realtà del bambino

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