Contro l’illusione di una neutralità liberale che dissolve l’umano
Nel tempo presente, segnato da un pluralismo che rischia di diventare indifferenza e da una concezione della libertà ridotta a mera autodeterminazione soggettiva, torna con forza la necessità di interrogarsi sulle radici della vita pubblica e sui principi che devono orientarla. In questo contesto, riaffermare il ruolo della legge naturale e della fede cristiana non è una forma di nostalgia, ma un atto di coraggio e di verità.
La legge naturale, come insegnava Cicerone e come ha ricordato recentemente Papa Leone XIV nel suo magistero, non è un costrutto culturale, ma un criterio universale di giustizia iscritto nella natura razionale dell’uomo. Essa precede le costituzioni e le leggi positive: non si tratta di imporre un dogma confessionale, ma di riconoscere un ordine morale oggettivo, valido per ogni essere umano.
È proprio questo il nodo cruciale della crisi del modello liberale occidentale, che nasce da un’ambizione prometeica: l’idea che la libertà consista nell’auto-creazione assoluta, sciolta da ogni vincolo, da ogni verità, da ogni riferimento trascendente. Questa idea ha generato istituzioni fragili, famiglie disgregate, identità smarrite. La neutralità, in realtà, non esiste: ogni ordinamento riflette una visione dell’uomo e del bene. Fingere il contrario significa aprire le porte al nichilismo istituzionalizzato.
Certo, non si tratta di sostituire lo Stato laico con uno Stato etico, ma nemmeno di ridurre la fede a sentimento privato e la religione a folklore. Le parole di Papa Leone XIV sulla “Chiesa estroversa”, che non teme di parlare al mondo e di offrire una proposta culturale alternativa, vanno in questa direzione. Un cattolicesimo maturo non rinuncia a proporre nella sfera pubblica una visione integrale dell’uomo e della società, fondata sulla verità e sull’amore.
Non tutti sembrano cogliere questa urgenza. C’è chi, anche in ambienti ecclesiali, preferisce evocare una “complessità” che rischia di diventare ambiguità, o si rifugia in una narrazione della fede come esperienza liquida e adattabile, dimenticando che la Chiesa non è un laboratorio sociologico, ma il custode di una Rivelazione. Le sfide del tempo presente – dal transumanesimo al gender, dalla biopolitica all’individualismo radicale – non si affrontano con l’indistinto, ma con la chiarezza della dottrina e la forza profetica del Vangelo.
L’America – crocevia della crisi – è anche il luogo dove si stanno formando soggetti che, come J.D. Vance o Adrian Vermeule, propongono un recupero delle virtù civiche fondate sulla religione, sfidando la pretesa neutralità liberale. Non è un ritorno al passato, ma la possibilità di un futuro diverso, radicato nel vero bene dell’uomo.
In un mondo in cerca di orientamento, la Chiesa non può tacere. E la legge naturale non è un retaggio da superare, ma un fondamento da riscoprire. È qui che si gioca la sfida più alta della fede cristiana: offrire alla modernità inquieta non un’alternativa autoritaria, ma un’alternativa umana.