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Il Documento di sintesi del Cammino Sinodale della Chiesa italiana, recentemente pubblicato dalla CEI, rappresenta un passo importante nel percorso di ascolto e rinnovamento che la Chiesa si è data. È un testo ampio, che affronta molti temi cruciali per la vita ecclesiale. Tuttavia, nei paragrafi 30 e 31, dedicati all’accoglienza delle persone LGBTQ+, emergono alcune criticità che meritano di essere discusse con chiarezza.

Accogliere sì, ma non assorbire l’ideologia

Nel documento si parla di “riconoscere e accompagnare le persone omoaffettive e transgender” e di formare operatori pastorali e comunità affinché sappiano accogliere con sensibilità e rispetto.

Un’intenzione buona e evangelica, certo. La Chiesa deve essere casa per tutti e non può permettere che nessuno si senta escluso.

Ma l’accoglienza cristiana non è sinonimo di adesione acritica a visioni antropologiche e culturali che contraddicono il Vangelo.

Nella galassia LGBTQ+ convivono persone che vivono sinceramente un cammino umano e spirituale, ma anche agenti ideologici che mirano a spostare il sentire sociale — e, purtroppo, anche quello ecclesiale — verso la normalizzazione dei comportamenti omosessuali e transgender come se fossero pienamente compatibili con la visione cristiana dell’uomo e della famiglia.

Accogliere le persone non significa quindi normalizzare le pratiche o le ideologie. La Chiesa deve rimanere luogo di misericordia, non di confusione dottrinale.

Il rischio di un linguaggio ambiguo

Il documento insiste molto sull’“accompagnamento” ma tace quasi del tutto sul discernimento.

Si parla di ascolto, ma non si specifica che la Chiesa ascolta per annunciare, non semplicemente per assecondare.

Senza una chiara distinzione tra accoglienza e approvazione, si rischia di scivolare verso una pastorale senza verità, dove ogni esperienza viene automaticamente legittimata.

Questo silenzio non è neutro.

In un contesto culturale in cui la pressione per cambiare la dottrina della Chiesa su sessualità, matrimonio e famiglia è fortissima, un linguaggio ambiguo rischia di essere interpretato come una resa culturale.

Una Chiesa che accoglie, ma che guida

Il Vangelo mostra una Chiesa che accoglie, ma sempre per condurre all’incontro con Cristo e alla conversione del cuore.

Gesù accoglie i peccatori, ma dice anche: “Va’ e non peccare più.”

Se l’accoglienza diventa un fine a sé, slegata dalla verità, essa perde la sua forza salvifica e diventa soltanto un gesto umano, ma non cristiano.

È bene quindi che la Chiesa italiana, nel suo cammino sinodale, rifletta su un punto essenziale: come accogliere senza rinunciare a evangelizzare, e come testimoniare la carità senza oscurare la verità.

Conclusione

L’apertura verso chi si sente lontano è un segno di speranza. Ma l’accoglienza, per essere autenticamente evangelica, deve essere libera dall’ideologia e radicata nella verità dell’uomo.

Non si tratta di chiudere le porte, ma di aprirle in modo tale che chi entra incontri Cristo, non un adattamento culturale del cristianesimo.

Il Sinodo può essere un’occasione di rinnovamento spirituale, non un pretesto per ridefinire la fede secondo le mode del tempo.

La vera accoglienza è quella che ama la persona, ma non rinuncia a proporle la verità che salva.

24710cookie-checkSinodo: accoglienza o resa culturale? Riflessioni sui paragrafi 30 e 31 del Documento di Sintesi

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