La sentenza n. 115/2025 della Corte costituzionale rappresenta un ulteriore passo nel processo di destrutturazione giuridica della famiglia naturale, promuovendo una visione ideologica e artificiale della genitorialità, sganciata non solo dalla realtà biologica, ma anche dalla volontà espressa dal legislatore.

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. n. 151/2001 «nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio anche a una lavoratrice quando è secondo genitore equivalente in una coppia di due donne risultanti genitori nei registri dello stato civile». In tal modo, ha sostituito alla figura del “padre” quella più generica e giuridicamente ambigua del “secondo genitore equivalente”, ridefinendo di fatto l’architettura della norma in senso “gender neutral”.

1. Una Corte che si sostituisce al legislatore

Il primo profilo problematico è l’invasione dell’ambito riservato al legislatore. Il decreto legislativo n. 105/2022, nell’attuare la direttiva 2019/1158/UE, ha deliberatamente riconosciuto il congedo obbligatorio al solo “padre lavoratore”. La direttiva europea, infatti, lascia agli Stati membri la libertà di riconoscere o meno tale diritto al “secondo genitore equivalente”, subordinandolo al riconoscimento nell’ordinamento interno.

La Corte si è dunque sostituita al legislatore, creando ex novo una figura giuridica – la madre intenzionale – titolare di un diritto che il Parlamento non ha previsto, sulla base di un’interpretazione funzionalista della genitorialità che è estranea al dettato normativo.

2. Il comunicato stampa della Corte e la svolta ideologica

A conferma dell’orientamento assunto, il comunicato stampa della Corte del 21 luglio 2025 ribadisce la valenza costitutiva dell’intenzionalità procreativa, affermando che:

«È costituzionalmente illegittimo l’articolo 27-bis […] nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile».

La Corte considera irragionevole la disparità tra la coppia eterosessuale (madre e padre) e quella formata da due donne, se entrambe risultano registrate come madri. Tuttavia, questa equiparazione nasconde un rovesciamento del principio di legalità: lo status giuridico di genitore non può essere desunto dalla sola iscrizione amministrativa, né tantomeno da un “progetto di cura” condiviso.

La Consulta, invece, assume che l’orientamento sessuale sia irrilevante ai fini della responsabilità genitoriale, e afferma che il figlio ha diritto ad avere due genitori – una biologica e una intenzionale – laddove vi sia stato un “progetto genitoriale” realizzato mediante pratiche di PMA all’estero, anche se vietate in Italia.

3. Una sentenza che legittima la PMA vietata e aggira l’adozione

Con questa decisione, la Corte legittima surrettiziamente il riconoscimento della genitorialità in favore di coppie di donne che hanno fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero, bypassando il vincolo dell’adozione in casi particolari, unico strumento giuridico previsto in Italia per riconoscere la genitorialità del partner non biologico.

Nel comunicato si legge che le due donne risultano “genitori riconosciute dallo Stato italiano”, ma in realtà ciò avviene solo in seguito a trascrizioni spesso contestate, a decisioni giudiziarie controverse o a prassi amministrative disomogenee. Attribuire effetti giuridici automatici a questa prassi equivale a far derivare diritti previdenziali da un atto non normativo, in violazione del principio di legalità.

4. L’uguaglianza formale che nega la differenza

La Corte invoca l’art. 3 della Costituzione per affermare che madre intenzionale e padre sono situazioni “equivalenti”. Ma tale equivalenza è fittizia e ideologica. Il congedo obbligatorio di paternità ha una ratio ben precisa: riconoscere il ruolo del padre come figura distinta, ma complementare, nella crescita del figlio, in una visione fondata sulla differenza sessuale e sull’interazione madre-padre.

Estendere questo diritto a una “seconda madre” significa neutralizzare la differenza sessuale come fondamento della genitorialità, promuovendo una visione indistinta, dove conta solo la “funzione di cura” e non più l’identità e la complementarietà dei ruoli.

5. Un precedente pericoloso

La sentenza n. 115/2025 non si limita a colmare una lacuna normativa: introduce un precedente ideologico, secondo cui la genitorialità non è più un dato giuridico oggettivo, ma una costruzione soggettiva fondata sull’intenzionalità e sulla registrazione amministrativa. In questo modo, si prepara il terreno alla piena equiparazione della genitorialità omosessuale e all’indebolimento dell’intero sistema delle tutele della maternità e della paternità.

La Corte non difende il minore, ma convalida scelte adulte, anche quando fondate su pratiche procreative contrarie all’ordine pubblico, come la PMA per coppie lesbiche o la GPA per coppie maschili. L’“interesse del minore” diventa così uno strumento retorico per legittimare la decostruzione giuridica della filiazione.

Conclusione

Nel nome di una presunta parità, la Corte costituzionale ha smantellato un principio cardine del nostro ordinamento: che la genitorialità non si inventa, si riconosce secondo regole oggettive stabilite dalla natura e dalla legge. La sentenza n. 115/2025 segna invece una rottura grave, che trasforma la giurisprudenza costituzionale in strumento attivo di ingegneria sociale, minando la coerenza del diritto e il primato del Parlamento.

23890cookie-checkUna sentenza ideologica che sovverte l’assetto normativo sulla genitorialità

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *