Quando lo Stato aiuta a morire, non a vivere: cronaca di una deriva giuridica
Con la sentenza n. 132/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate dal Tribunale di Firenze sull’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente), nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, in presenza delle condizioni già indicate dalla sentenza n. 242/2019, attui materialmente la volontà suicidaria di un paziente che, per grave disabilità, non possa autosomministrarsi il farmaco letale.
La Corte non ha affrontato il cuore del problema – se sia costituzionalmente legittimo consentire a un terzo di uccidere un paziente su sua richiesta – ma ha eluso il merito per una ragione formale: il giudice a quo, secondo la Consulta, non ha adeguatamente motivato sulla reale impossibilità di reperire dispositivi di autosomministrazione (es. pompe infusionali attivabili con la voce o con gli occhi).
Pur pronunciando un’inammissibilità, la Corte introduce affermazioni significative che rischiano di disarticolare ulteriormente la tutela penale della vita umana. Essa afferma infatti che il paziente ammesso alla procedura di suicidio assistito ha diritto ad essere accompagnato dal Servizio sanitario nazionale, anche nel reperimento e utilizzo dei dispositivi per porre fine alla propria vita. Il SSN, secondo la Corte, avrebbe dunque il dovere di facilitare tecnicamente la morte volontaria del paziente.
Siamo davanti a una deriva culturale che, sotto le mentite spoglie del diritto all’autodeterminazione, rischia di istituzionalizzare un “diritto a farsi uccidere” – già nei fatti riconosciuto con la sentenza n. 242/2019 – e ora potenzialmente esteso alla somministrazione eteronoma.
La vita, soprattutto nei suoi momenti più fragili, viene così progressivamente spogliata del suo valore indisponibile, subordinata alla volontà individuale e alla tecnologia, in un contesto dove il medico, da curante, rischia di trasformarsi in esecutore.
La Corte si dice attenta alla tutela dei più deboli, ma nella realtà sembra contribuire alla costruzione di un sistema in cui la morte diventa una prestazione sanitaria. È il segnale – inquietante – di un diritto sempre più disancorato dalla verità sull’uomo e sempre più funzionale a logiche di efficienza e “libera scelta”, anche a costo di sacrificare la dignità inviolabile della vita umana.